Tanti piccoli rettangoli
Laura Sferch
Il posto da cui scrivo, comunico, trascorro la maggior parte del mio tempo è esattamente questo: seduta alla scrivania, davanti al pc, con il cellulare di fianco. A destra il muro con il Quarto stato che mi guarda dall’alto, a sinistra una finestra che dà sulla casa di fronte: otto piani di finestre e balconi da cui entri direttamente nella vita privata e intima di persone che non conosci anche se sai benissimo che la signora del terzo piano tossisce rumorosamente tutte le mattine, che i bambini del primo piano escono a rincorrersi sul balcone, che il signore con la pancia grossa che d’estate esce in mutande e canottiera guarda la tv fino a tarda notte. Nella vita di prima sentivo le persone lamentarsi del fatto che tutti quelli che arrivano qui coi gommoni loro ce l’hanno il cellulare bello e allora cosa vogliono da noi…che stessero a casa loro visto che così poveri non lo devono essere. Ora guardo con preoccupazione il mio di cellulare, sperando che sia davvero smart e che non si rompa, perché è da lì il mondo entra e esce in questi giorni. Molte cose si sono capovolte dal mondo di prima.
La cosa che riempie le mie giornate è la scuola. Didattica a distanza. Costretti a reinventare la scuola senza poter girare tra i banchi e afferrare con gli occhi e con la chimica degli odori e dei non detti quello che succede ad ognuno. Ora la classe è uno schermo diviso in tanti piccoli rettangoli. Rigorosamente “muted” con un nome a cui manca un volto. Ho chiesto a volte di poterci vedere negli occhi, perché gli occhi mi mancano e parlare davanti ai rettangoli mi mette davvero in difficoltà. Di attivare la telecamera almeno per salutarci. Compaiono camerette e cucine, ragazzi e ragazze con i capelli sempre più lunghi, alcuni con le cuffiette alle orecchie con una professionalità smentita dalle maniche lunghe di una felpa i due taglie più grande. Ho chiesto loro di scrivermi come stanno. Matteo 16 anni racconta che ogni giorno sembra paradossalmente più surreale, la convivenza si fa sempre più difficile e certi giorni diventa davvero complicato concentrarsi sui libri e studiare per le interrogazioni con tutto quello che accade intorno. Valentina mi dice che questa reclusione è al limite del sostenibile. Che in casa è difficile trovare un proprio spazio. Che nella cameretta c’è il fratello che ha bisogno di silenzio per le lezioni dell’università. E che quindi lei sta in salotto, imbarazzata dai suoi che assistano alle lezioni in mezzo ai rumori di questa convivenza forzata e stretta. Anna dice che ciò che la spaventa è il dopo e se saremo in grado di reagire e recuperare i rapporti morali. Ma spera positivo.
I ragazzini di prima riescono a vivere con più leggerezza e Marco, che ha accumulato nella vita di prima ventidue ritardi in cinque mesi di scuola, dice che è addirittura più comodo e, ribadisce, da tutti i punti di vista. Sorrido…ma capisco che non per tutti è così e che non posso chiedere loro di mostrarsi, non solo perché ne hanno già abbastanza di doverlo fare con chi li obbliga per poterli “controllare meglio”, ma perché ogni sguardo diventa intromissione nella loro intimità, rispetto alla quale occorre mettersi alla “giusta” distanza. Allora imparo a “vedere” dentro i rettangoli con sopra i nomi, se “DavsgIpad” non è troppo triste che gli è appena morto il nonno, se Samira che non chiede mai neanche in classe sta capendo, se vado troppo veloce, se devo ripetere ancora una volta, se qualcuno telefona al volo a Mirko e gli dice di entrare, imparo a restare nella difficoltà di non avere risposte quando chiedo tutto chiaro…imparo a sentire le sfumature delle voci e imparo a sentire che piano piano quei rettangolini diventano cerchio, attorno al quale si fanno gli esercizi di matematica come davanti a un fuoco.
Nella didattica a distanza la giusta distanza cade. Cade nei due gruppi whatsapp che ho deciso di fare nei primi giorni, contravvenendo alla regola di non dare mai il mio telefono privato. Dicendo guardate però ragazzi che questa non è una chat di amici, e che quindi cerchiamo di rispettare spazi e tempi. Quindi per favore niente faccine e messaggi fuori orario. E invece la chat invade tutta la giornata. Mando messaggi con faccine a tutte le ore del giorno. La foto della luna piena. Il link a una conferenza del Cern perché prima o poi ci si potrà andare. Nel mio primo giorno di vacanza i primini si lamentano che ancora non ho messo i compiti da nessuna parte. Prendo tempo e prometto di farlo entro il pomeriggio.
Nel frattempo, succedono piccoli miracoli. Andrea che in classe non ci sa stare, in questa giusta distanza riesce ad annodare i primi fili con i suoi compagni. E quando Chiara mi chiede, nella seconda mattina delle mie vacanze, se posso mandare foto dei compiti perché sul padlet il file non si apre, Andrea dice arrivo prof mando io e letteralmente il minuto dopo mette a disposizione di tutti le foto del compito. Mando anche i compiti di fisica: un esperimento da fare a casa sulla conduzione del calore nei metalli, a gruppi, che a loro piace lavorare a gruppi e che si connettono via skype e fanno presentazioni video e share screen come se fosse la cosa più naturale del mondo da sempre. Dopo 16 minuti, Chiara e Andrea dialogano fittamente. “Thanks, prof. ma io non ho l’asta” “Avrai uno stuzzicadenti tipo lungo 20 cm, una penna, una matita. “Sì ma la matita non è fatta di materiale metallico” “Allora magari un appendino che non ti serve, quei cosi di metallo a forma di triangolo per appendere i vestiti, quei cosi così o come si chiamano, se riesci lo sfili sennò te lo fai sfilare”. Li prego solo di non incendiare le case, che di questi tempi potrebbe essere un problema e arriva la rassicurante risposta “ È già successo prof, ed è il minimo che poteva accadere”, seguito da faccina che ride-piange inviata da Samuele. E Samuele l’altro giorno scrive che gli si è creato un fiore disegnato con rette e parabole, lui che fino a poco tempo fa suo papà non sapeva più come fare a staccare dal cellulare e dalla paly station. E quando gli dico che un mio amico che fa teatro a cui ho mandato il fiore mi ha raccontato che il castello di Castel del monte che sta in Puglia anche lui ha sotto equazioni matematiche, Samuele si sente fiero come se il castello l’avesse disegnato lui.
Continuo a chiedermi in questi giorni quale sia la giusta distanza. Dalle cose che ci stanno capitando. Che io tutte insieme non le riesco ancora a vedere. Che non sogno più o i sogni non me li ricordo, anche se dormire tutta la notte tranquilla non succede più da mesi. Che mi fanno male le gambe e la schiena, che ho bisogno di correre e di camminare. La giusta distanza dagli attacchi potenti di rabbia di vedere la distanza tra chi sta bene e chi sta male aumentare all’infinito, dai parcheggi con ammassati i senza tetto, dalle menzogne sui dati, dalle morti evitabili in completa solitudine e non capire cosa poter fare. La giusta distanza dal futuro, dai viaggi che abbiamo fatto nel mondo di prima, dalle persone che incontro nelle uniche uscite rigorosamente una volta a settimana per fare la spesa e che vorrei che stessero un po’ più distanti e che se caro signore la mascherina te la metti sul mento e tossisci io ti disfo. La giusta distanza dai sogni, dal desiderio di tornare a insegnare italiano alle donne, di abbracciare gli sconosciuti, di ballare in un cerchio stretti stretti nei panighiri della nostra isola greca del cuore. E così quando ogni mattina mi si apre lo schermo con i rettangolini capisco che quella è la distanza che adesso riesco a tenere dalle cose e che sono fortunata e dal profondo del cuore ringrazio silenziosamente i miei alunni uno per uno.