Gesti quotidiani

Raffaella Crisafulli

La quarantena è fatta di riti. Di piccoli gesti quotidiani. Di attimi da percorrere, e centimetri di tempo che scorrono. E così, ogni mattina lentamente mi vesto e con grande attenzione scruto allo specchio il mio viso, su cui il tempo non si ferma, ma scava dentro le rughe. Intorno ai miei occhi, luce che si è fatta esperienza.

Mi trucco, attentamente, perché il mio viso appaia sereno e luminoso, quando incontrerò gli sguardi assonnati degli studenti, che sono diventati centimetri nello schermo del mio pc. Centimetri di luce, attimi di buio negli occhi, riottosi e scuri in volto per la corda che ora tiene tesa l’esuberanza del loro essere giovani.

Il mio rito del mattino sono loro, è la mia parola sul Tempo e sullo Spazio, quelli definiti dai grandi come Einstein…eh si, perché in questo tempo, io, è di Tempo e Spazio che parlo, con grande attenzione e con la cura che tutte le mie parole arrivino a loro. Il rito è il cercare dentro alla parola i significati più profondi, che solo le menti eccelse dei grandi della Scienza sanno semplificare in concetti che ci appaiono tanto più veri quando siamo costretti a capirli.
Il rito di ogni giorno è rifugiarsi nella parola dei saggi, che attraverso di me e in mezzo ai pixel dello schermo si fanno realtà, e così lo spazio che mi divide dai miei studenti è collegato dal segnale luminoso che ci avvicina, anche se solo nel tempo – luce.

La quarantena è fatta di riti. Di piccoli gesti quotidiani. Di attimi da percorrere e di centimetri di tempo che scorrono. I passi scandiscono il tempo che si muove rotondo, e quando vai veloce si ferma. E così la distanza tra il tavolo e la mia pianta di camelie, la mattina, è un attimo lucente, lo sguardo accarezza i fiori che sbocciano, si aprono, per diventare meravigliosi in pochi giorni, scanditi dai passi lenti che accompagnano il risveglio. Poi cadono, i fiori, quando diventano pesanti. Un altro rito si deve sostituire a quello sguardo, che sembra fatto solo per cose vive. Ma il fiore a terra sembra continuare a respirare, perché ha in sé il ricordo della linfa che lo ha creato.