Finestra maestra

Giovanna Svaluto

Tutto è cominciato quando tutto il resto è finito. Mi sono trovata sbalordita a realizzare che niente di quello che facevo era adatto alla nuova vita e – lentamente ho capito- che non dovevo aspettare che tutto ricominciasse: era già cominciato, ed era tutto nuovo.

Una cosa mi era chiara: non dovevo lasciare sola mia madre chiusa in casa. Dovevo andare da lei ogni giorno a ricordarle che la vita merita di essere vissuta, da lei che parla quasi solo di malattie e morte. Faceva come la volpe del Piccolo Principe: all’ora giusta preparava il suo cuore a sentire il campanello. E così i suoi piccoli faticosi passi sono diventati anche il mio mondo, come le partite a scala quaranta e i commenti sulle trasmissioni televisive, con personaggi a me prima sconosciuti: vita, morte e miracoli di ogni sorta di persone di cui non m’importava nulla, ma anche i racconti dei libri che leggeva e che mi ripeteva anche se li conoscevo già. E poi tutte le piccole notizie sulla vita fuori: le mascherine, la fila al supermercato, le piante che si risvegliavano, quello che facevo a casa…

Avrei potuto impazzire, e invece le ho proposto un gioco che mio figlio faceva con i suoi amici: una tabella in cui scrivere nomi di fiori, frutti, città, animali… che iniziano con la lettera sorteggiata. Lo facevo da bambina e adesso mi sembrava un buon modo per impedire a mia madre di parlare troppo. Da questo, a cascata, è venuta la sua richiesta di migliorare la scrittura, incerta e tremolante di chi non scrive mai e ha scritto troppo poco nella sua vita. Prima lo stampatello, poi il corsivo; prima le pagine di lettere, poi i dettati lenti (risvolti delle copertine dei libri, articoli sulle piante, liste di nomi della famiglia). Il giorno dopo me li faceva trovare in bella copia, trascritti più di una volta, con una scrittura sempre migliore e sicura. Si arrabbiava per gli errori e le correzioni che doveva fare. Voleva le pagine perfette. E io, ex maestra, di nuovo per lei maestra. Di una scolara attenta ed esigente di ottantacinque anni, l’età giusta per imparare a realizzare un sogno.

Poi un giorno si è ricordata delle poesie di tanti, tanti anni fa, roba di Renzo Pezzani e altri dimenticati, e Rio Bo: chi può dimenticarlo? Se le ricordava a memoria, ma voleva che controllassi autori e versi. E ha cambiato il titolo a Orfano di Pascoli, perché è un titolo triste, così ora è Ninna nanna. E ha scoperto le poesie, testi brevi, musicali, piacevoli. Le ho portato delle raccolte e ha rivelato un gusto particolare nella scelta, perché le poesie trascritte sono quelle che secondo lei dicono qualcosa d’importante, non sa cosa. Me l’ha regalata una scoperta: Sono io stanotte a camminare di Carlos Castaneda; lei forse non lo sa, ma questa è importante perché parla di me, e non la conoscevo. Ne ha trascritte tante, io gliele leggo e lei si stupisce di come siano diverse da quello che si aspettava: la differenza tra scritto e parlato eccola qui. E poi le osservazioni su certe cose che non sono normali, ma si sa che i poeti sono speciali…

Eccomi dunque scolara di una maestra attenta ed esigente, che non avrei mai conosciuto se non fosse stato per la lentezza e la noia di quei giorni felici.