Corpi assenti
Barbara Apuzzo
Eccomi qui. Su questa sedia in legno da balcone che ormai dal 24 febbraio scandisce le giornate e tenta di spezzare la monotonia del tempo mai uguale a se stesso. Vivo in questa casa da 10 anni, e mai come in questo periodo ho vissuto l’esterno, il terrazzo, le piante. Mi manca un gatto, penso. A dire il vero mi mancano tutti. Più il tempo avanza e più mi mancano.
Questa è la sedia da cui faccio interminabili telefonate, bevo interminabili birre, e mi faccio anche interminabili pianti. Sempre meno, devo dire. I pianti, sempre meno. Le birre e le telefonate aumentano. In modo esponenziale. Devo rassegnarmi all’immobilità, mi dico. Idiota che non sei altro. Quando mai sei stata altro? Beh dai, immobile immobile proprio no. Questa la vinco io. E’ vero, immobile no. Ma con un sacco di tempo libero davanti, si. E cos’ho imparato durante tutto quel tempo libero? Nulla. E adesso? Cioè da quando siamo tutti a casa? Nulla. Pizza? No Pane? No Torte? No Maglia e cucito? No Dipingere? No Yoga? No Beh, avrai pulito casa da cima a fondo! Nemmeno quello.
Ho capito, forse ho una spiegazione. Il mio tempo libero, il mio tempo vuoto, anche quello peggiore, e con tempo peggiore intendo le settimane, i mesi, passati in convalescenza, o su qualche sedia a rotelle, o in qualche letto, era fatto di giornate sempre, e dico sempre, accompagnate da qualche amico che veniva a trovarmi. Anche solo un paio d’ore. Ma quelle due ore quanto diventavano dannatamente fondamentali, per alleviare un dolore che sembrava il morso di un cane inferocito. E quel cane improvvisamente veniva addolcito da un abbraccio di un’amica, da un bacio, da una serata con le persone che amavo di più.
Ora non c’è nessun morso, nessun cane inferocito, nessun dolore fisico. O forse si. Il dolore dell’assenza dei corpi. Quando gli amici ti invadono la casa , ti ubriachi, per il profumo emanato da ognuno di loro. Le impronte dei loro cuori rimangono stampate sulle tue mani Ed è un godimento che si protrae per parecchi giorni dopo. E questa mancanza assurda, adesso, ti fa quasi pensare ad altre assenze, sicuramente non paragonabili. Ma eccolo lì, il cane inferocito, sempre in agguato, pronto a cibarsi del tuo cuore. E fa male. Un male fottutissimo.
E allora cerchi soluzioni, piccole soluzioni che possano somigliare agli abbracci di cui ormai hai un vago ricordo lontano. Provi con le videochiamate, con Zoom, ma quella persona che è lì, non è lì. E tremendamente, non la puoi toccare e accarezzare. Solamente con una persona non riesco a fare a meno di videochiamarla, anche se ogni volta, quando la telefonata finisce, disobbedirei a tutte le regole e me la andrei ad abbracciare per tutto il resto della giornata.
Ho bisogno di altre soluzioni. Devo sopravvivere a questa assenza di fisicità. Quasi per caso dimentico sul terrazzo due mele. Poco male. Chi cazzo le ha mai mangiate le mele? Ci metto un’ora a finirne una. E sempre quasi per caso, con la coda dell’occhio scopro che un merlo furtivo si presenta ogni giorno alla stessa ora, per spizzicare un assaggio di mela. Dopo una settimana il mio amico mangiatore di mele si presenta con la sua deliziosa compagna.
Fa ancora freddo, siamo ai primi di marzo, io mi limito a guardare i miei visitatori da dietro la finestra. Ad oggi sono passati ormai due mesi. E abbiamo fatto grandi passi avanti, nella nostra amicizia. Prima di iniziare a lavorare, mi prendo un quarto d’ora per sbriciolare ogni mattina, 5 biscotti in un piattino che poi gli appoggio in un vaso di terracotta. Non scappano più quando mi vedono arrivare, ed il loro chiamarsi è diventato un cinguettio di felicità. Se non vengono a trovarmi mi mancano. E se non li sento sono triste. Ogni tanto ci provo, a parlare con loro.
Forse è ora che questa quarantena finisca. E in fretta, pure.